Gary Stewart Hurst in giuria alle finali di Sanremo Rock 2019

Gary Stewart Hurst è stato tra i primi tecnici britannici a sperimentare l’onda quadrata sismica.                                                Per parlare di quello che è stato il futuro della chitarra rock bisogna tornare agli anni’60 e conoscere la sua storia.

Grazie all’amicizia e alla collaborazione con Giordano Tittarelli, produttore discografico e ceo astralmusic, ci ha fatto entrare nel suo laboratorio-museo, portandoci virtualmente nel dietro le quinte delle più famose rock band mondiali.

Sei in Italia dagli anni’60 cosa ti ha portato qui?

“Prima di arrivare in Italia ero già tecnico della Vox di Londra, il primo nome dell’amplificazione musicale per chitarra, tutti i gruppi rock suonavano il Vox. Nel 1964 approdo in Italia a seguito di un incontro avvenuto a Londra con Nazzareno Orlandoni, fondatore della Elka, società italiana specializzata nella costruzione di tastiere e sintetizzatori. Una volta in Italia per la Elka ho progettato l’organo Capri del quale ne sono stati prodotti alcuni modelli. Rientro nel 1965 a Londra dove progetto e costruisco il Tone Bender, e proprio in questo periodo il mio laboratorio viene frequentato da tanti artisti che sono diventati delle leggende del rock; I Beatles, Jimmy Page, Jeff Beck degli Yardbirds, Pete Townsend del gruppo The Who solo per citarne alcuni. Ero uno dei pochissimi tecnici che seguiva le band nei backstage e sul palco dei concerti per le prove, ma forse all’epoca non me ne rendevo conto, stavamo scrivendo una pagina della storia della musica.

Oggi posso vantarmi di aver creato la strumentazione per i “grandi”.

Nella mia vita mi sono dedicato a tempo pieno alla progettazione di strumenti e nel 1968 torno in Italia in pianta stabile, qui ho avuto la possibilità di fare diverse collaborazioni, fra cui la progettazione di strumenti musicali giocattoli per un’azienda marchigiana”.

Di cosa ti occupi oggi?

“Mi occupo delle parti tecniche di strumenti che costruisco nel mio laboratorio in modo artigianale ( dei pezzi quasi unici) e faccio consulenze  per varie ditte, soprattutto all’estero. Sto facendo una nuova produzione per una ditta di amplificazione inglese, si tratta di pedali di effetti per la chitarra, destinati al mercato mondiale, e fra i contatti abbiamo già diversi chitarristi di fama”.

Quali sono i prossimi progetti e cosa ti piacerebbe ancora realizzare?

“Come priorità vorrei avviare bene questa nuova serie di pedali per la ditta inglese, poi ho in mente di fare una serie fatta a mano su vecchi modelli di 40 anni fa, me li stanno richiedendo, non una produzione industriale ma modelli artigianali. C’è un mondo di appassionati che vuole un certo tipo di strumenti e li vuole fatti da me, alcuni clienti mi chiedono le foto mentre li sto realizzando. Nel tempo ho constatato che ci sono più pedali creati da me fra i collezionisti di quanti ne abbia tenuti nella mia collezione. Alcuni vogliono che glieli autografi e vengono nelle Marche per incontrarmi”.

Dopo tanti anni il mercato musicale inglese è sempre più avanti di quello europeo e in particolare del nostro, cosa ha il business musicale inglese che manca all’italia?

“Il problema, oltre che di cultura musicale su cui lo Stato ha sempre investito, credo sia dovuto all’aspetto burocratico. Chi vuole fare un’iniziativa in Italia, deve prima investire molto e molto poi lo deve dare in tasse. Ci sono minori aiuti dalle banche, dai fondi, e i progetti non vedono la luce. Amo questo paese dove ho scelto di vivere, ma capisco come tanti artisti, scienziati e altre categorie vadano all’estero dove trovano più aiuti e possibilità. Anche la produzione musicale è cambiata, le aziende di strumenti si sono spostate all’estero nei paesi dove i costi del lavoro sono più bassi. La musica stessa non si vende più come prima, non in maniera fisica. Io compro ancora cd, perché mi piace l’oggetto, toccarlo, vederlo, sfogliare il libretto”.

Un aneddoto del passato di qualche musicista con cui hai collaborato?

“Potrei parlare per giorni degli incontri fatti con i grandi della musica, dei backstage, delle storie di tanti personaggi che si sono intrecciate con la mia professione, e credo che prima o poi mi deciderò a scriverci un libro!”.

A Sanremo Rock sarai in giuria, ti piace confrontarti con le nuove generazioni?

“Si stasera sarò in giuria da grande appassionato e tecnico della musica rock e sono molto curioso di assistere e di valutare nuove band e di ascoltare tanta buona musica dal vivo. Vedo molti giovani disinteressati e a volte superficiali, poco attenti. Spero che le nuove generazioni facciano bene, sono molto distanti da come ci siamo formati noi, alla base di tutto non esistono più gli hobby, io ad esempio ho iniziato a costruire le radio dentro casa. Gli hobby di oggi sono il telefonino, i canali social, internet, cosa porteranno? Lo vedremo”.

 Cosa consigli a chi inizia a fare musica oggi, agli artisti emergenti?

“Di studiare! E di non improvvisarsi. Consiglio di partire dalle basi innanzitutto, in musica la base è il pianoforte, occorre studiare l’armonia, gli accordi. Imparare la musica dai fondamenti, se parti da un genere come per esempio dal rock, difficilmente sarai un grande musicista. Bisogna fare tutta la gavetta. I grandi artisti sono partiti da zero”.

Un sogno nel cassetto? 

“Mi piacerebbe vedere realizzato un documentario dei gruppi degli anni ‘60 e ‘70, su tutto il backstage, che porti in scena i racconti di tutta la parte tecnica, di come si costruiva la musica, con tracce audio- video per spiegare cos’erano gli strumenti, come si suonava. All’epoca quando c’erano I Beatles, ero una delle poche persone che rimaneva da solo con loro ( era una cosa rarissima, c’era sempre qualcuno con loro) e lo ritengo un grosso privilegio, solo oggi me ne rendo conto. Quella è un’esperienza che abbiamo fatto in pochissimi e molti di loro non ci sono più. Quando scompariranno le ultime persone che hanno fatto questo mestiere, chi darà le risposte? Sarà un patrimonio perduto”.

Elisabetta Landi – ufficio stampa astralmusic

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